Grazie alla lunga tradizione che avvolge la cucina giapponese, gli ingredienti e gli alimenti utilizzati sono svariati e noi occidentali siamo sempre più curiosi di scoprirne ogni dettaglio. Uno degli ingredienti più utilizzati nel mondo culinario nipponico è l’aburaage.
Chiamato anche usuage, si tratta di sottili fette di tofu fritte a gradi molto elevati. Ha un leggero sapore di soia, in quanto deriva da esso, ma ha una consistenza “spugnosa” che le permette quindi di assorbire i sapori dei condimenti a cui si associa.
La storia di questo alimento non è molto chiara. Nel famosissimo libro di ricette Tofu Hyakuchin, pubblicato nel 1782 e contenente circa cento ricette su come preparare il tofu, vi è riportata una ricetta in cui il tofu viene fritto nell’olio a grandi elevati, ma non è specificato che assumesse la tipica forma “a sacca” dell’aburaage.
L’unica certezza dell’utilizzo delle sacche di tofu la si ha dal 1853, anno in cui vennero inventati gli inarizushi, un tipo di sushi in cui non è presente il pesce crudo.
Secondo la mitologia giapponese, l’aburaage è l’alimento preferito dal kami shintoista Inari (ovvero la divinità della fertilità, dell’agricoltura e del riso) e dalle volpi kitsune, che sono a servizio di Inari e che sono venerate dai giapponesi come se fossero delle divinità.
Grazie alla lunga conservazione, alla leggerezza e alla complessità della produzione, questi sacchetti di tofu chiamati aburaage si sono prestate da subito ad una produzione di grandi quantità. A quanto pare, il numero stimato di sacche di tofu prodotte al giorno arriva ai 450mila, dal 1980.
Nel nostro ristorante giapponese a Napoli e nelle cucine tradizionali giapponesi, l’aburaage viene utilizzato principalmente come ingrediente che avvolge gli inarizushi o per arricchire la zuppa di miso (misoshiru).
L’aburaage si può trovare anche nei piatti di udon, un tipo di noodles di farina di grano duro, in quanto le volpi, secondo un credo popolare, sono ghiotte di tofu fritto.