Esistono molte storie e molti film in cui si raccontano le eroiche gesta dei samurai giapponesi: dalla morale alta e dalla fedeltà assoluta, il misterioso mondo di questi guerrieri orientali affascina molte persone. Ma chi erano i samurai giapponesi?
Partiamo dal termine samurai che deriva dal verbo saburau che significa servire ed è un termine utilizzato ancora per rappresentare la nobiltà guerriera.
Durante il XI-XII secolo, i servi guerrieri crearono il proprio posto nella società nipponica sotto la guida del dittatore militare, lo shogun, che sottrasse potere all’imperatore. A quei tempi, i samurai rappresentavano un implacabile cavalleria ed erano fedeli servitori dei feudatari locali, i daimyō.
Le differenze tra i samurai ed i cavalieri occidentali sono molte, a partire dall’arma che preferivano i samurai: lo shigetou, l’arco asimmetrico giapponese. In grado di lanciare frecce (anche infuocate) a lunghissime distanze, bisogna dunque abbandonare il luogo comune che fosse la katana la prima scelta dei samurai e abbracciare l’idea che un arco di legno lungo 2 metri rappresentasse al meglio lo zen degli arcieri.
Per la cavalleria occidentale, l’arco era considerato poco nobile e quindi rappresentava un’arma secondaria.
Oltre all’arco, un samurai possedeva anche una katana e una wakizashi. Quest’ultima era un’arma corta che il guerriero portava sempre a contatto con il corpo, davanti al ventre, e dalla quale non si separava mai. La wakizashi era soprannominata la guardiana dell’onore in quanto era l’arma utilizzata per il rito del suicidio, il seppuku. Durante questa cerimonia, la wakizashi aveva il compito di trafiggere il ventre, sede dell’anima del samurai, per mostrare la propria anima priva di macchie di disonore.
Il samurai, infatti, viveva seguendo un codice comportamentale molto rigido, il bushidō, che lo vincolava in modo indissolubile dal suo daimyō. La fedeltà assoluta e il sacrificio del singolo per il benessere comune erano le colonne portanti di questo codice d’onore.
Il suicidio rituale, da eseguire esclusivamente di fronte a dei testimoni, era l’unica via per salvare l’onore nel caso in cui vi fosse stato qualcosa che avesse lesionato il rapporto tra il guerriero samurai ed il suo feudatario.
È possibile comprendere il comportamento dei samurai se si pensa che il loro addestramento iniziava a 3 anni. Una volta completata l’alfabetizzazione, si insegnava loro a non aver paura della morte, a praticare esercizi per il controllo della mente e del corpo ma soprattutto ad obbedire al proprio signore. Si insegnava loro ad utilizzare le armi e a cavalcare, sottoponendoli anche a rigide prove fisiche, come le docce gelate sotto alle cascate.
Durante il Giappone medievale, esistevano anche le donne samurai che venivano chiamate a difendere le terre del feudatario a cui appartenevano quando gli uomini erano in battaglia. Queste donne erano addestrate nei valori e nelle arti marziali proprio come un guerriero uomo.
La fine dei samurai avvenne nella seconda metà dell’Ottocento, quando il Giappone si aprì al mondo occidentale e si creò, di rimando, un esercito regolare. Inoltre, con l’editto Haitorei, legge imposta durante l’Imperatore Meiji, ai samurai venne vietato il diritto portare le armi in pubblico e dunque segnò la vera fine di questi guerrieri.
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